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MASSIMO BOLLATO, Se il monte è la memoria. Storia e immagini di un alpinista degli anni trenta. Cierre edizioni, Verona 2009, Euro 11.50
Recensione a cura di Ivo mattozzi
Il professore di lettere e una scatola di fotografie
La situazione che genera l’impulso a narrare è presto detta. Un professore di lettere ormai in pensione si mette alla “ricerca del padre” che ha perduto quando aveva pochi mesi di vita e che ha conosciuto solo attraverso i pochi scampoli di memorie domestiche. Vuole conoscerne la personalità, capire cosa lega la sua vita di orfano a quella del padre scomparso in guerra ma che ha un passato di alpinista. Ora che non ha più le giornate occupate dai compiti professionali, il professore può dedicare il suo tempo a riordinare la soffitta e a guardare con intenti euristici la scatola dove sono custodite le fotografie che riguardano anche suo padre. Le fotografie sono nel disordine conseguente a traslochi multipli. Sono fotografie con alcune annotazioni di date e/o di circostanze e di luoghi. Ma non tutte le note hanno la precisione di riferimenti che si desidera per individuare cronologie e luoghi e persone. Il professore è anche lui un alpinista ed ha il vantaggio di conoscere bene il mondo delle Dolomiti dove si svolsero le escursioni del padre. A volte riconosce i luoghi o i riferimenti, a volte è al buio: non riesce a situare gli scatti fotografici. Da qui nasce la ricerca che porta alla scoperta delle imprese alpinistiche del padre. Imprese di qualche importanza, segnalate nelle riviste specialistiche. Questo ordito il professore avrebbe potuto raccontarlo pianamente allo scopo di rendere l’omaggio della memoria ad un genitore ammirevole, agli occhi del figlio, per la sua passione per la montagna e per le ascensioni impegnative. Avremmo avuto un resoconto o un racconto di episodi biografici che avrebbero potuto interessare i patiti della storia dell’alpinismo, ma certamente non avrebbe entusiasmato me e non ci avrebbe dato l’occasione di riunirci qui in una biblioteca a conversare del libro. Perché vale la pena di parlarne? Perché quell’ordito così lineare è stata trasformato da Massimo Bollato, il professore di lettere, in un racconto di bella e profonda bellezza letteraria.
Nascita di uno scrittore Il professore di lettere è andato in pensione ed è nato uno scrittore: Massimo Bollato ha messo in scena la sua ricerca e man mano che questa si svolge e porta a qualche conclusione ci riferisce degli avanzamenti della sua conoscenza della biografia paterna. Ci sono dunque due strati del racconto: quello delle descrizioni di situazioni in terza persona, segnalate nel testo dal corsivo, e quello messo in prima persona dal ricercatore e costruttore di memorie. E i due strati discorsivi sono intricati con le immagini fotografiche. Esse non sono decorative, ma sono un elemento importante del racconto. Il poterle osservare seguendo le peripezie delle interpretazioni e delle ipotesi e del montaggio dei tasselli informativi sostiene il coinvolgimento del lettore. Il racconto assume un’aria di intreccio di mistero e si vuole capire dove va a parare. La costruzione della memoria del padre si è trasformata in un intreccio narrativo che riesce ad agganciare la curiosità e l’interesse del lettore e lo coinvolge nella ricerca. Ma la tensione della lettura non potrebbe reggere a lungo se l’intreccio del racconto della ricerca non fosse abilmente “amministrato” in un sapiente dosaggio di ciò che va detto e di ciò che deve essere ancora scoperto, da una parte, e, dall’altra, dalla qualità del testo, della scrittura.
La qualità della scritturaIl racconto si svolge con un annodarsi di frasi che dicono l’essenziale del momento della ricerca senza mai cadere nella banalità delle frasi fatte, con sguardo oggettivo, ma al momento opportuno si conclude con una clausola, che porta dentro l’emozione soggettiva che contagia il lettore e genera la sua adesione al destino dello scrittore. È questa scrittura che genera il piacere della lettura, del colloquio con l’autore che il lettore stabilisce quando il testo lo attira con la sua qualità.
Il racconto e il metodo storicoC’è un altro motivo per l’entusiasmo da lettore, in questo caso di un lettore come me storico e ricercatore sui problemi dell’insegnamento della storia. Massimo Bollato ha riflettuto sul metodo della ricerca e fa sapere come è riuscito a dare senso a piccoli indizi con pazienza, con la meticolosità dello sguardo, con l’incrocio delle informazioni e a giungere ad accertare luoghi e date. Le minuscole fotografie non sono solo immagini. Sono oggetti e come tali possono prestarsi alla produzione di informazioni anche grazie ad elementi “materiali”: la presenza di dentellatura o non, il formato, la qualità della stampa ecc. E per interpretarle occorre far ricorso anche ai “libri di vetta” (quei registri presenti nei rifugi in cui gli scalatori annotano i dati della scalata e i loro nomi) e alle guide turistiche. In tutti i capitoli noi vediamo il ricercatore storico in azione con la sua volontà di sapere, con i suoi dubbi, i suoi ripensamenti, le sue soddisfazioni per aver raggiunto certezze. Insomma, Massimo Bollato scrive col gusto del narratore la sua vicenda e l’incontro col padre, ma dà anche una lezione di metodo storico, di lettura delle tracce del passato, di produzione delle informazioni, di costruzione dei nessi, di alternanza di ipotesi che si rivelano sbagliate e di scoperte chiarificatrici. Ma lo fa con la leggerezza della sua scrittura e non con la pedanteria di un libro sul metodo storico.
Un racconto adatto a formare. Questo è il carattere del libro che mi ha fatto pensare che il racconto sia adatto nei percorsi formativi. Oltre che proporre agli studenti una buona lettura esso può sostenere la comprensione di come avviene la conoscenza affidabile del passato. E c’è un altro vantaggio: qui la ricerca e la ricostruzione si snodano con fotografie di album o di archivio o di fondo di famiglia e, dunque, potrebbero essere imitate da chiunque si trovi ad avere fotografie che mostrano persone, contesti, circostanze ormai usciti dalla memoria. Quello di Massimo potrebbe essere un buon esempio per iniziare gli studenti al metodo storico facendo una ricerca basata sulle fotografie che si trovano nei cassetti o nelle scatole e nelle soffitte casalinghe. Per provare il piacere della comprensione e della rammemorazione, dell’annodare i fili tra il proprio presente fuggitivo e il passato fissato nelle immagini e negli scritti dei familiari perduti . Massimo è uno scrittore inconsapevole: ha messo in moto la sua attività di ricerca spinto dall’amore filiale e dalla passione per le montagne, l’ha raccontata pensando di dare un contributo alla storia dell’alpinismo veneto. Ci ha donato un bel libro che rivelano le sue abilità di scrittore.